VA RICONOSCIUTA L’INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO AI BAMBINI AFFETTI DA DIABETE MELLITO DI TIPO 1 In una causa da me patrocinata presso il Tribunale di Treviso è stato affrontato il tema del diritto all’indennità di accompagnamento in favore dei bambini affetti da diabete mellito di tipo 1. Il Tribunale ha stabilito che l’indennità di accompagnamento va riconosciuta al bambino diabetico nei termini in cui questi, per la sua età, necessiti di continua assistenza per il compimento degli atti ordinari della vita quotidiana, in raffronto con i bambini di pari età. IL CASO A. è una bambina di 9 anni a cui è stato diagnosticato il diabete mellito di tipo 1, ovvero quello denominato anche insulinodipendente. A causa del diabete la vita e le abitudini di questa bambina sono state letteralmente stravolte a partire dalle restrizioni dietetiche, dai continui controlli capillari della glicemia anche di notte, dalle quotidiane e numerose iniezioni di insulina. Da quel momento la piccola A. necessita di supervisione in ogni contesto della sua vita: i suoi genitori devono sempre essere presenti anche quando la bimba va in gita scolastica o alle feste di compleanno. La complessa gestione della malattia non si riduce quando alla bambina viene applicato un microinfusore a livello addominale: si tratta di un apparecchio collegato al sensore di glicemia già posizionato sul braccio della piccola che ha la funzione di rilasciare l’insulina a seconda dei valori glicemici rilevati dal sensore. Se, da un lato, questo apparecchio ha consentito alla bimba di non essere sottoposta a continue e dolorose iniezioni, dall’altro lato, non ha affatto semplificato la gestione della malattia. Il microinfusore necessita infatti di essere programmato in coincidenza ad ogni pasto della giornata ed in base alla composizione del cibo e dei carboidrati che la bambina assumerà in quel momento. Il microinfusore, inoltre, deve anche essere calibrato quotidianamente attraverso dei controlli capillari perché i valori del sensore non sempre sono corretti e vanno verificati in modo da modificare tempestivamente la terapia, se necessario. E’ chiaro che tutte queste attività non possono essere compiute autonomamente da un bambino ed è sulla base di queste considerazioni che i genitori di A. hanno fatto domanda per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, ma la commissione medica ha respinto la loro richiesta. A questo punto, i genitori di A. non accontentandosi della valutazione espressa, hanno convenuto l’INPS in Tribunale vincendo la causa. LA DECISIONE Il Tribunale di Treviso ha riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento alla piccola A. avendo accertato che il diabete tipo 1 impone, nel caso di specie, “la necessità di continua assistenza per il compimento degli atti ordinari della vita quotidiana anche in raffronto con i bambini dell’età di A. Il sintesi, il Tribunale ha ritenuto sussistente il diritto all’indennità di accompagnamento valorizzando alcuni dati tra i quali, in particolare: la bambina debba essere assistita in ogni pasto per stabilire quantità e qualità dei cibi a seconda dei livelli glicemici riscontrati l’assunzione del cibo debba essere preceduta e seguita dalla rilevazione dei livelli glicemici Tutte attività che implicano competenze e consapevolezze che un bambino non può avere e che sono quindi affidate all’adulto di riferimento. Pertanto, sottolinea il Tribunale, al fine di verificare il diritto all’indennità di accompagnamento, va raffrontata la ben diversa situazione dei coetanei che nella normalità mangiano liberamente senza bisogno di stringenti verifiche di quantità e qualità di cibo da ingerire. La sentenza ha espresso anche alcune considerazioni sull’utilizzo del microinfusore affermando che tale apparecchio non modifica la continua assistenza che i genitori debbono comunque prestare alla figlia.
Il trasporto scolastico per disabili deve essere totalmente gratuito
IL TRASPORTO SCOLASTICO IN FAVORE DEI DISABILI DEVE ESSERE TOTALMENTE GRATUITO Il servizio di trasporto scolastico di un disabile deve essere totalmente gratuito ed è a carico del Comune di residenza di quella persona. E’ dunque assolutamente illegittima ogni richiesta di compartecipazione alla spesa alla famiglia. Questo è quanto viene affermato dalla Sezione Prima del Consiglio di Stato con il Parere n. 403/2021 del 15.03.2021. IL CASO I genitori di un’alunna disabile, nella fattispecie la figlia della sottoscritta, in vista del suo ingresso alla scuola primaria hanno chiesto al Comune di residenza (Crocetta del Montello in provincia di Treviso) di predisporre il servizio di trasporto gratuito da e verso l’istituto scolastico prescelto e idoneo alle necessità della bambina, distante circa 30 km dalla residenza. L’Ente ha però ritenuto il trasporto richiesto di tipo socio-assistenziale sostenendo che l’istituto frequentato dalla bambina erogasse anche prestazioni di tipo riabilitativo, chiedendo così ai genitori di compartecipare alla spesa del servizio. I genitori hanno dunque impugnato la delibera del Comune e gli atti collegati con Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica con il patrocinio dell’Avv. Maria-Luisa Tezza di Verona. IL TRASPORTO SCOLASTICO E’ FUNZIONALE AL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE ED E’ DUNQUE UN DIRITTO FONDAMENTALE Il Consiglio di Stato, dopo aver ricostruito il quadro normativo nazionale, europeo ed internazionale, ha ricordato che: il diritto all’istruzione dei disabili va ascritto alla categoria dei diritti fondamentali. il trasporto scolastico del disabile dall’abitazione alla scuola è un diritto soggettivo funzionale alla realizzazione del diritto all’istruzione. Pertanto, il contenuto di tale diritto è correlato ad obblighi positivi sussistenti in capo all’amministrazione. Il Consiglio di Stato, inoltre, ha specificato che il trasporto scolastico è un servizio pubblico da erogare a titolo gratuito in conformità : con l’art. 28, comma 1, l. n. 118/1971 e con il principio del divieto di discriminazione di cui agli articoli 21 Carta dei diritti fondamentali UE e dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’, pertanto, obbligatoria l’adozione delle misure di integrazione e sostegno per rendere possibile ai disabili la frequenza delle scuole e l’insieme delle pratiche di cura e riabilitazione necessarie per il superamento ovvero il miglioramento della condizione di disabilità nonché per l’acquisizione di competenze – seppur ridotte – scolastiche. GLI ENTI LOCALI NON POSSONO ADDURRE MOTIVI DI BILANCIO PER OPPORSI ALLA RICHIESTA DI TRASPORTO GRATUITO Un ulteriore passaggio significativo del parere del Consiglio di Stato riguarda il vincolo di bilancio, eccezione dietro alla quale molti enti locali amano trincerarsi per sottrarsi dagli obblighi economici cui sono tenuti. In realtà, il servizio deve essere garantito gratuitamente sempre e comunque a ciò non ostando il vincolo della parità di bilancio: la pretesa di trasporto gratuito scolastico vantata da un determinato alunno portatore di handicap accertato ai sensi della legge n. 104 del 1992 rientra “in quel <<nucleo indefettibile di garanzia per gli interessati>> (come su individuato dalla Consulta), che non è consentito nemmeno al legislatore, ed a maggior ragione alla pubblica amministrazione, escludere del tutto in forza di vincoli derivanti dalla carenza di risorse economiche, in quanto finirebbe per essere sacrificato il diritto fondamentale allo studio e all’istruzione […]” sicché “il servizio pubblico di trasporto acquisisce la detta (ulteriore) finalità assistenziale del diritto all’istruzione scolastica costituzionalmente garantito, e deve perciò prevalere sulle esigenze di natura finanziaria, di modo che disposizioni legislative contrarie darebbero luogo a serie questioni di legittimità costituzionale, così come d’altronde ripetutamente affermato in riferimento alla materia dell’organizzazione scolastica e degli insegnanti di sostegno” (cfr. Cons. Stato, VI, n. 2320/17 ed altre cit.) ( Cons. di Stato, sez. V, 809/2018). DIVIETO DI INTERRUZIONE DEL SERVIZIO Infine, anche se non riguarda il caso di specie, il Consiglio di Stato chiarisce che anche semmai fosse esistito un obbligo di compartecipazione, mai l’amministrazione avrebbe potuto procedere all’interruzione del servizio. Il Consiglio di Stato ha così disposto che il Comune debba continuare lo svolgimento del servizio di trasporto scolastico della minore al fine di garantire l’immediato e tempestivo esercizio del diritto fondamentale all’istruzione della minore con disabilità. L’Avv. Maria-Luisa Tezza, come sempre, con grande professionalità è riuscita ad ottenere un importante precedente in questa delicatissima materia. Qui sotto il testo integrale del parere. Qui sotto anche gli articoli pubblicati nelle principali testate giornalistiche locali
Invalidità civile e handicap nella Sindrome di Down
Rimandando alla scheda di approfondimento per quanto riguarda le nozioni di carattere generale su invalidità civile e handicap; qui, è utile sintetizzare le previsioni in materia di invalidità civile e handicap rivolte solamente a coloro che sono affetti dalla sindrome di DOWN. RICONOSCIMENTO DELL’HANDICAP GRAVE NELLE PERSONE AFFETTE DA SINDROME DI DOWN Le persone affette da sindrome di DOWN: Devono essere riconosciute in situazione di handicap grave ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92 Tale condizione può essere riconosciuta: dalla Commissione Medica competente, previa esibizione dell’esame del cariotipo oppure direttamente dal proprio medico di famiglia, previa esibizione dell’esame del cariotipo. Ciò evita il passaggio in Commissione e tutte le pratiche burocratiche conseguenti. Una volta ottenuto il riconoscimento di persona in situazione di handicap grave, quest’ultima è esentata da future visite di controllo e, quindi, non deve più essere convocata a visita di revisione. N.B. Questi automatismi sono previsti dalla legge solamente a favore dei soggetti portatori di sindrome di DOWN e riguardano solo l’accertamento dell’handicap, non invece l’accertamento dell’invalidità. Ricordo che i principali benefici del riconoscimento dell’handicap grave ai sensi dell’art. 3 co. 3, son0: i permessi e congedi lavorativi a favore della persona che si prende cura del disabile le agevolazioni nel settore auto tra le quali esenzione del bollo e detrazioni fiscali (solo se vi è anche il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento) RICONOSCIMENTO DELL’INVALIDITA’ NELLE PERSONE AFFETTE DA SINDROME DI DOWN Per quanto riguarda la condizione di invalidità (il cui riconoscimento può dar diritto all’indennità di accompagnamento) nel 2010 è stata diramata una circolare da parte dell’INPS che prescrive: l’automatico riconoscimento dell’indennità di accompagnamento ai portatori di sindrome di DOWN l’esonero da visita di revisione Tuttavia, a differenza degli automatismi previsi per lo stato di handicap –che sono previsti per legge e quindi hanno forza vincolante– lo stesso non può dirsi per gli “automatismi” previsti per l’accertamento dell’invalidità civile. Questi ultimi, infatti, non sono contenuti in una Legge o Atto avente forza di legge dello Stato, ma in una circolare. Le circolari sono solamente atti interni dell’amministrazione che li ha diramati e sono vincolanti, ma neanche in tutti i casi, solo per il personale che opera per conto di quella amministrazione. Di conseguenza, la circolare in questione non è vincolante per le Commissioni Mediche che sono composte per la maggior parte da medici dell’ULSS, i quali ben possono discostarsi dai precetti in essa contenuti e non riconoscere l’indennità di accompagnamento al soggetto portatore di sindrome di DOWN. Ma allora cosa si può fare? Se si intende contestare il verbale che ha negato l’indennità di accompagnamento a persona affetta da sindrome di DOWN è possibile, entro sei mesi, proporre apposito Ricorso avverso l’INPS e in questa sede, anche appellandosi a quella specifica circolare diramata proprio da INPS, chiedere il riconoscimento dell’indennità predetta. Se, invece, l’accertamento risale nel tempo, si può provare a richiedere una nuova valutazione per aggravamento (che deve però essere documentato), attendere l’esito di valutazione da parte dell’ULSS e, se non riconosciuta l’indennità di accompagnamento, proporre ricorso avverso l’INPS nelle stesse modalità indicate sopra.
Quali sono le differenze tra invalidità civile e handicap?
COS’E’ L’INVALIDITA’ CIVILE L’invalidità civile presuppone una minorazione fisica e/o psichica e/o intellettiva che comporta nella persona che ne è affetta una riduzione della capacità lavorativa superiore al 33%. Tale criterio opera per i maggiori di età. L’invalidità è espressa in percentuale e, a seconda della percentuale, possono essere riconosciute provvidenze economiche (assegni, indennità, pensioni) e/o altri benefici (es. ausili e protesi, collocamento lavorativo mirato, ecc.). Per i minori di età, invece, la minorazione si valuta in relazione alle difficoltà persistenti di svolgere i compiti e le funzioni proprie di quell’età. Essa non si esprime con una percentuale. COS’E’ L’HANDICAP L’handicap presuppone una minorazione fisica e/o psichica e/o intellettiva che comporta nella persona che ne è affetta difficoltà di apprendimento, problematiche relazionali e di integrazione lavorativa, tali da determinare uno svantaggio sociale o una situazione di emarginazione. L’handicap è considerato grave, ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92, quando le minorazioni siano tali da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera di vita della persona. La distinzione tra handicap “grave” e “non grave” assume particolare importanza in quanto solo il primo dà luogo a benefici di una certa rilevanza (es. congedi di maternità prolungati, permessi lavorativi retribuiti). QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA INVALIDITA’ CIVILE E HANDICAP Pur avendo definizioni che possono sembrare simili, invalidità civile e stato di handicap sono due concetti diversi che danno luogo a riconoscimenti diversi: l’invalidità civile, per i maggiorenni, ha come parametro la riduzione della capacità lavorativa a causa della minorazione; per i minorenni ha riguardo alle difficoltà del minore a fare le stesse cose che fanno i coetanei normodotati. La condizione di invalidità viene accertata in base a criteri medico-legali, legati quindi al concetto di funzionalità; lo stato di handicap, invece, esprime la difficoltà di inserimento della persona nel contesto sociale di appartenenza a causa della propria minorazione. Tale condizione viene accertata in base a criteri medico-sociali. Ulteriore differenza tra i due riconoscimenti è che l’invalidità civile dà diritto a specifiche provvidenze economiche (oltre ad altri benefici), mentre lo status di handicap è la condizione per poter usufruire di varie agevolazioni, ma non di erogazioni dirette denaro. COME OTTENERE IL RICONOSCIMENTO DI INVALIDITA’ CIVILE E HANDICAP Per ottenere il riconoscimento di queste condizioni si deve svolgere domanda all’INPS e, in seguito, sottoporsi a visita di fronte alla Commissione Medica. Il parere della commissione è contenuto in un verbale che viene successivamente inoltrato all’interessato, generalmente entro due mesi dalla vista. E’ importante sapere interpretare bene il verbale per capire quali benefici sono fruibili rispetto al riconoscimento ottenuto. Qualora la condizione richiesta non sia stata riconosciuta, o sia stata riconosciuta solo parzialmente, è possibile impugnare il verbale davanti al Tribunale nel termine di sei mesi dalla data di ricezione del verbale. PATOLOGIE CHE DANNO DIRITTO ALL’ESONERO DALLE VISITE DI REVISIONE Ha diritto ad essere esonerato da future visite di revisione per l’accertamento della permanenza dell’invalidità civile e dell’handicap, colui che: è affetto da una patologia che determina una grave compromissione dell’autonomia personale che rientra tra quelle indicate nel D.M. 2 agosto 2007 è titolare dell’indennità di accompagnamento o dell’indennità di comunicazione Accade molto spesso che pur in presenza di queste condizioni, le Commissioni Mediche continuino a prevedere la revisione nei verbali, causando disagi e difficoltà agli interessati che ogni tot anni vengono riconvocati a visita, pur nella gravità della loro condizione che è già stata accertata come tale. In presenza di queste situazioni, dunque, è utile far presente il proprio diritto e chiedere espressamente alla Commissione l’esonero permanente da visite di revisione. E’ ancor più utile far valere i propri diritti, qualora disattesi, in sede giudiziaria. Un discorso a parte sul riconoscimento di invalidità, handicap e diritto all’esonero da revisione va fatto per i portatori della sindrome di DOWN vedi la scheda di approfondimento.
Permessi lavorativi L.104/92 e part time verticale
PERMESSI LAVORATIVI PREVISTI DALLA LEGGE 104/92 E DISCIPLINA DEL PART-TIME L’art. 33 della L. 104/92 prevede espressamente che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Nulla quaestio quando il rapporto di lavoro instaurato è a tempo pieno. Ma cosa succede se la tipologia di lavoro prestata è a part-time, ovvero con orario ridotto rispetto al tempo pieno? Per prima cosa vanno distinte le tre tipologie di part-time esistenti: Part-time orizzontale: è quello “classico” che prevede mezza giornata lavorativa (ad esempio dalle 8.30 alle 12.30 oppure dalle 14.30 alle 18.30) Part-time verticale: è quello che prevede che il lavoratore lavori a tempo pieno (es. 8 ore) ma solo per alcuni giorni alla settimana (ad esempio 3), o anche limitatamente ad alcune settimane o alcuni mesi. A maggiore esemplificazione è part-time verticale quello in cui il lavoratore presta attività dal lunedì al mercoledì a tempo pieno, mentre non lavora i restanti giorni della settimana. Part-time misto: è un mix tra il part-time orizzontale e quello verticale; il lavoratore, per esempio, può lavorare ad orario ridotto solo per qualche giorno alla settimana. COME VIENE DISCIPLINATO IL LAVORO PART-TIME VERTICALE CON I PERMESSI GIORNALIERI PREVISTI DALLA L. 104 PER ASSISTERE LA PERSONA CON GRAVE DISABILITA’? Nessun problema nel part-time orizzontale dove i 3 giorni previsti per legge sono garantiti. Nel part-time verticale (ma anche quello misto segue la stessa disciplina), invece, possono sorgere problemi: spesso i datori di lavoro riproporzionano (ovvero riducono) i 3 giorni lavorativi spettanti al lavoratore, applicando dei parametri di calcolo indicati in circolari diramate da INPS. Accade quindi sovente che il dipendente con contratto di lavoro di tipo part-time verticale si veda attribuire solo 1 o 2 giorni di permesso, anziché 3 o, parimenti, che il lavoratore già dipendente a tempo pieno e con fruizione dei 3 giorni, se li veda decurtare una volta passato al part-time verticale. Tali prassi, benché indicate nelle varie circolari INPS con tanto di coefficienti di calcolo, sono nella maggior parte dei casi illegittime. Se è vero che non esiste una disposizione specifica di legge che regolamenti espressamente la tipologia di part-time verticale, è altrettanto vero che in questi casi soccorrono i principi vigenti nel nostro ordinamento, tra tutti quello di non discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale. Ma soprattutto ciò che si impone è una interpretazione della norma in senso costituzionale e coerente alle indicazioni comunitarie e internazionali in tema di tutela della disabilità. La finalità della norma è, infatti, quella di favorire l’assistenza alla persona affetta da grave handicap in ambito familiare e di salvaguardare il suo diritto alla salute, inteso come diritto fondamentale dell’individuo. LA CASSAZIONE SI E’ PRONUNCIATA SUI PERMESSI LAVORATIVI NEL PART-TIME VERTICALE Questi sono i principi che la Suprema Cassazione ha fatto propri in alcune recenti sentenze, pronunciandosi in casi in cui i lavoratori sono ricorsi in giudizio per tutelare i loro diritti. I Giudici della Cassazione civile, sulla base delle considerazioni sintetizzate poco sopra, sono giunti a riconoscere che il lavoratore part-time verticale debba poter fruire di 3 giorni di permesso, al pari degli altri lavoratori. La Cassazione, tuttavia, ha adottato un “correttivo” al fine di evitare che la fruizione dei permessi del part-time verticale possa tradursi in un “irragionevole sacrificio per la parte datoriale”. Per contemperare le esigenze del lavoratore con quelle di produttività del datore di lavoro rispetto alla particolare articolazione della prestazione lavorativa, la Corte di Cassazione ha ritenuto ragionevole operare il seguente distinguo: 1) se le giornate di lavoro part-time (articolate su base settimanale) superano il 50% delle giornate che sarebbero previste se il lavoro fosse full-time, si ha integrale diritto alla fruizione dei permessi (quindi 3 giorni). 2) se, invece, le giornate di lavoro part-time (articolate su base settimanale) sono inferiori al 50% delle giornate di lavoro a tempo pieno, o limitate ad alcuni periodi dell’anno, allora i permessi potranno essere legittimamente riproporzionati. Esempi: – il lavoratore che lavora 4 giorni su 6, siccome lavora più del 50% rispetto alle giornate in cui lavorerebbe se fosse a tempo pieno, ha diritto di fruire dei 3 giorni di permesso; – il lavoratore che lavora 2 giorni su 5, siccome lavora meno del 50% rispetto alle giornate in cui lavorerebbe a tempo pieno, può vedersi legittimamente riproporzionati i giorni di permesso dal proprio datore di lavoro. Inoltre la Cassazione ha stabilito che meritano accoglimento le domande di risarcimento del danno svolte dai ricorrenti i quali, quindi, si sono quindi visti risarcire il danno subito (secondo criteri equitativi) con una somma di denaro calcolata per ogni giorno di permesso illegittimamente non fruito. CHIARIMENTI SULLA CONCESSIONE DEI PERMESSI LAVORATIVI: CHI LI EROGA? L’art. 33 della L. 104/92 stabilisce che è il datore di lavoro (e non dunque l’INPS) ad erogare i giorni di permesso, in quanto la domanda del lavoratore investe un profilo inerente il rapporto di lavoro. Tant’è che, come spesso accade, quando il lavoratore a tempo pieno -già fruitore dei 3 giorni di permesso- modifica il suo rapporto di lavoro trasformandolo a part-time di tipo verticale, è il datore di lavoro, e non l’INPS, a riproporzionare i permessi. Quindi in controversie di questo tipo dobbiamo rivolgerci al datore di lavoro. Diversamente accade quando è INPS ad escludere preventivamente il diritto del lavoratore a poter fruire dei permessi. In un caso in cui un padre di due gemelli con handicap grave aveva chiesto il doppio dei permessi in ragione del fatto che i figli erano due, è stata riconosciuta la legittimazione passiva dell’INPS, non tanto in quanto soggetto obbligato al riconoscimento dei permessi, ma in quanto soggetto
Autismo e indennità di accompagnamento
In una causa da me patrocinata di fronte al Tribunale di Treviso è stata resa una interessantissima Sentenza che ha avuto il pregio di chiarire due concetti molto importanti in tema di autismo e indennità di accompagnamento, per nulla scontati, soprattutto per tutti coloro che si vedono sistematicamente negare tale diritto dalle varie commissioni mediche. L’INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO VA INFATTI RICONOSCIUTA: ANCHE AI BAMBINI IN TENERA ETA’ ANCHE IN PRESENZA DI UN DISTURBO AUTISTICO LIEVE E Q.I. NELLA NORMA In primo luogo è stato riaffermato il principio per cui l’indennità di accompagnamento è dovuta anche ai “bambini in tenera età” allorquando essi presentino capacità inferiori ai coetanei. Partendo dall’ovvio presupposto che nessun bambino di tenera età, per quanto sano e correttamente sviluppato, è autonomo, il Tribunale afferma vada allora individuato il livello di dipendenza dagli altri che, diverso e più intenso rispetto a quello che caratterizza ciascun bambino di quell’età, fonda e costituisce il presupposto per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento. In secondo luogo, e veniamo specificatamente all’autismo, il Tribunale di Treviso si è premurato di specificare che l’indennità di accompagnamento è riconoscibile anche di fronte ad una patologia autistica lieve e pur in presenza di un Quoziente Intellettivo perfettamente nella norma. Ciò in quanto, specifica il Tribunale, l’assenza di ritardo mentale non incide sulla disabilità necessitante l’assistenza continua abnorme. IL CASO A. è un bambino di 5 anni a cui è stato diagnosticato un disturbo pervasivo dello sviluppo di tipo autistico da una struttura accreditata e specializzata presso la quale è seguito dal punto di vista valutativo e riabilitativo dall’età di 3 anni. Le osservazioni cliniche ripetute nel tempo e la somministrazione di appositi test diagnostici (in particolare la Vineland Scale) hanno rivelato che A. presenta abilità di un bambino di circa 3 anni nell’area della comunicazione, delle abilità quotidiane e della socializzazione. Nonostante sia stato evidenziato che A., a causa del suo autismo, ha abilità e capacità in termini di autonomia, comprensione, socializzazione inferiori a quelle dei suoi coetanei, la commissione medica territoriale non ha però ritenuto di riconoscergli l’indennità di accompagnamento. I genitori hanno allora convenuto in giudizio l’INPS proprio per ottenere il diritto a ricevere quell’indennità di accompagnamento ingiustamente negato. Ed hanno vinto la causa. Per il Tribunale di Treviso è proprio questo divario, ossia l’incapacità di compiere gli stessi atti quotidiani di un coetaneo in ben tre settori, a fondare il diritto all’indennità di accompagnamento. E’ invece irrilevante, chiarisce infine il Tribunale, che il quoziente intellettivo del piccolo A. sia perfettamente nella norma: egli, pur con un Q.I. adeguato alla sua età presenta comunque capacità inferiori ai pari normodotati; da tale divario deriva la necessità di assistenza continua che fonda conseguentemente il diritto all’indennità di accompagnamento. Il ritardo menale, invece, così come altre eventuali comorbilità associate (es. epilessia) potranno, al più, incidere sulla previsione di rivedibilità della misura (di norma esclusa).
Legge del dopo di noi: quali tutele prevede a favore dei disabili?
La legge del Dopo di Noi, ovvero la L. 112/2016 di recente emanazione, intende dare attuazione ad una serie di principi già stabiliti dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, in particolare essa “è volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità” (art. 1). Ma chi sono i destinatari di questa legge? Chi può beneficiare di questi interventi? I disabili gravi Gli interventi e le misure di sostegno previste dalla Legge sul Dopo di Noi sono destinate solamente ad una categoria di disabili, ovvero coloro che sono stati riconosciuti portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92. Altre forme di disabilità non riconosciute come gravi, non potranno avere accesso ai benefici concessi da questa Legge. Ma, le tutele previste dalla Legge non potranno essere estese nemmeno a quelle persone il cui stato di grave disabilità sia derivato dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, come per esempio l’Alzheimer. Se è vero che i destinatari di queste misure sono limitati, va anche ricordato che la proposta della Legge del Dopo di Noi, in origine, aveva un contenuto molto più ambizioso, salvo poi venire bocciata dalla Commissione Bilancio per mancanza di adeguata copertura finanziaria. La scelta politica allora è stata quella di limitare le misure di sostegno a quelle categorie di persone disabili più gravi e, conseguentemente, con minor protezione e a maggior rischio di istituzionalizzazione. Quali sono i requisiti per accedere alle misure di sostegno? Per poter ottenere i benefici concessi dalla Legge è necessario che la persona con grave disabilità si trovi: priva del sostegno familiare, in quanto mancanti i genitori o non in grado di fornire adeguato sostegno Ma la Legge prevede che il beneficiario venga progressivamente preso in carico già durante l’esistenza in vita dei genitori e in vista del loro venir meno. Per garantire la massima tutela, le misure di assistenza, cura e protezione dovranno essere individuate con il coinvolgimento dei servizi sociali ed integrate nel progetto individuale della persona disabile, nel rispetto della sua volontà, se manifestabile, o dei suoi genitori. Istituzione del Fondo e finalità Al fine di attuare le misure di assistenza, cura e protezione della persona con disabilità grave priva del sostegno familiare, la Legge ha istituto un apposito Fondo con dotazione di 90 milioni di euro per l’anno 2016, 38,3 per il 2017 e 56,1 per il 2018. Con Decreto dell’11 novembre 2016 sono state ripartite le dotazioni del fondo alle Regioni, fondi che quindi sono già immediatamente utilizzabili. Le modalità di accesso agli interventi e ai servizi saranno individuati dalle singole Regioni mediante l’adozione di indirizzi di programmazione. Sono ora attesi i successivi Decreti Attuativi, in particolare quello che andrà a fissare gli obiettivi di servizio per le prestazioni da erogare. Il Fondo, infatti, sarà destinato a finanziare gli obiettivi di servizio, al fine di: attivare e potenziare il supporto alla domiciliarietà in abitazioni o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative della casa familiare prevedere interventi temporanei in soluzioni abitative extrafamiliari per sopperire a situazioni di emergenza ma nel rispetto della volontà della persona con disabilità realizzare interventi innovativi di residenzialità come le soluzioni alloggiative familiari e di co-housing sviluppare percorsi di accrescimento della consapevolezza di sviluppo delle competenze per aumentare il livello di autonomia delle persone con grave disabilità Detraibilità delle spese per polizze assicurative I premi per le assicurazioni per il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave saranno detraibili dalle tasse al momento della dichiarazione dei redditi. Si tratta di agevolazioni poco significative e di carattere simbolico: il contribuente risparmierà veramente poco! Trust e vincoli di destinazione Ulteriore misura prevista dalla Legge del Dopo di Noi è l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni per i beni e i diritti che vengono conferiti in un trust, destinati a fondi speciali o oggetto di vincolo di destinazione, purchè questi strumenti siano finalizzati esclusivamente a favorire l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave. Questi istituti devono rispettare determinati requisiti proprio per evitare abusi ai danni della persona con grave disabilità. Per esempio: devono essere costituiti per atto pubblico devono vincolare il trustee, il fiduciario o il gestore a perseguire il progetto di vita e gli obiettivi di benessere e prevedere a carico di costoro obblighi di rendicontazione devono descrivere le funzionalità e i bisogni specifici del disabile devono stabilire il termine finale della durata del trust, del fondo speciale o del vincolo di destinazione che coincida con la data di morte della persona con disabilità Campagne informative Infine, la Legge prevede che prendano avvio campagne informative volte a diffondere la conoscenza degli strumenti di sostegno da essa previsti e per sensibilizzare l’opinione pubblica a favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità. Sarebbe una benemerita previsione se non fosse precisato che nessun nuovo o maggior onere dovrà essere a carico della finanza pubblica.
Separazione e mantenimento figli: le spese straordinarie vanno rimborsate anche se manca l’accordo
Spese straordinarie: quali sono Le spese straordinarie sono quelle che non sono conteggiate nell’assegno periodico dovuto al genitore per il mantenimento ordinario dei figli. L’assegno di mantenimento, infatti, è destinato a soddisfare le esigenze della vita quotidiana dei minori e copre spese quali quelle per l’alimentazione o quelle per i farmaci da banco: in questo caso si parla di spese ordinarie. Le spese straordinarie, invece, sono quelle che riguardano aspetti imprevedibili o comunque non ricorrenti e non determinabili in anticipo, ma che possono anche essere di notevole entità. Esse, dunque, debbono essere rimborsate nella misura del 50% al genitore che le sostiene . Per esempio, sono straordinarie le spese dentistiche, le spese mediche specialistiche, le spese per la retta della scuola privata. Tra genitori separati o divorziati le spese straordinarie per i figli devono essere necessariamente concordate? Il genitore affidatario o collocatario deve obbligatoriamente concordare con l’altro genitore le spese straordinarie relative ai figli? La Corte di Cassazione è tornata recentemente ad affrontare il tema con le ordinanze n. 16175/2015 e n. 4182/2016 confermando l’orientamento già espresso in materia dalla Suprema Corte. Il genitore con cui i figli convivono, non solo, non ha alcun obbligo di concertazione preventiva con l’altro genitore in merito alla determinazione delle spese straordinarie, ma nemmeno è tenuto ad informarlo. Sembrerebbe un precetto ingiusto, eppure il principio è sempre quello del preminente interesse dei figli che potrebbero subire un pregiudizio ogni qualvolta i genitori non siano in grado di accordarsi. Quindi, il genitore che non ha concordato le spese con l’altro, non per questo perde il diritto al rimborso. Tuttavia, le spese, per essere sicuramente rimborsabili, devono essere: utili per il minore proporzionate alle capacità economiche dei genitori Cosa fare quando il genitore si rifiuta di rimborsare all’altro genitore le spese straordinarie non concordate? L’ultima parola spetta sempre al Giudice che dovrà valutare se la spesa contestata sia di utilità per il minore e se essa sia effettivamente sostenibile in relazione alle condizioni economiche dei genitori. Se, infatti, il genitore che rifiuta il rimborso è in grado di dimostrare di trovarsi nell’impossibilità economica di farvi fronte, il Giudice potrà anche non autorizzare il rimborso di quella spesa. Riferimenti Ord. Cass. 16175/2015 – Ord. Cass. 4182/2016
Prolungamento della scuola dell’infanzia per bambini con disabilità
Un bambino con disabilità può permanere nella scuola dell’infanzia (ex scuola materna) oltre il 6° anno di età? La legge n. 53/03 prevede che al 6° anno di età tutti i bambini debbano iniziare a frequentare la scuola primaria (ex elementare). Ma questo vale anche per i bambini con disabilità? In effetti la questione è di notevole rilevanza anche dal punto di vista etico: è meglio a far permanere il bambino disabile presso la scuola dell’infanzia dopo il compimento del 6° anno di età in considerazione delle sue capacità naturali o, invece, è più giusto il passaggio alla scuola primaria insieme ai compagni di asilo? Fino a qualche tempo fa, seppure in modo non uniforme nel territorio nazionale, si ammetteva la possibilità di derogare alla L. 53/03 e quindi di consentire la permanenza del bambino alla scuola dell’infanzia oltre il 6° anno di età, per un tempo non precisato. Infatti, la circolare ministeriale n. 235/75, che dettava istruzioni operative per l’iscrizione alla scuola materna di bambini handicappati, non precisava alcun limite di permanenza: in buona sostanza la nota chiariva che per il bambino con disabilità non doveva essere presa in considerazione l’età anagrafica, ma quella mentale, e demandava ogni decisione sulla permanenza scolastica al Collegio dei docenti con la partecipazione di specialisti dell’area medica e socio-pedagogica. Recentemente, invece, il MIUR ha emanato la circolare n. 547/2014 che ha preso una precisa posizione sul tema chiarendo in modo non più interpretabile che gli alunni che necessitano di speciale attenzione possano permanere presso la scuola dell’infanzia oltre il 6° anno di età solamente in presenza di queste condizioni: in casi eccezionali e debitamente documentati, su decisione del Dirigente scolastico per un tempo non superiore ad un anno scolastico Questa circolare è andata a sostituire una circolare emanata poche settimane prima, la n. 338/2014, che aveva sollevato numerose critiche da parte delle rappresentanze delle persone con disabilità: essa era stata emanata per giustificare la permanenza nella scuola dell’infanzia oltre il 6° anno di età di bambini adottati, in considerazione del livello cognitivo e socio-affettivo da loro raggiunto. La nota, però, richiamava esemplificativamente la circolare n. 235/75 per giustificare la permanenza a scuola oltre il 6° anno anche dei bambini disabili. Proprio questo richiamo aveva aperto un’aspra polemica da parte della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) che riteneva, per contro, il contenuto della circolare n. 235/75 del tutto superato con l’entrata in vigore della L. 53/03 che aveva sancito l’inizio dell’obbligo scolastico al 6° anno di età. Il dubbio interpretativo in materia veniva subito fugato dal MIUR con la citata circolare n. 547/2014 emanata poche settimane dopo la precedente: in essa veniva eliminato qualsiasi richiamo alla vecchia circolare n. 235/75. Riferimenti normativi L. 53/03 – D.Lgs. 59/04 – D.Lgs. 297/94 – C.M. 235/75 – Circ. Miur n. 338/14 – Circ. Miur 547/14
Quali sono i riconoscimenti economici a favore dei bambini disabili?
Disabili Minorenni: indennità e pensioni dovute Il minore con disabilità ha diritto ad una serie di erogazioni di denaro a seconda del tipo di minorazione riconosciuta. Esistono quindi provvidenze specifiche per il minore invalido, per il minore cieco e per il minore sordo. Vediamole nel dettaglio, scoprendo gli eventuali divieti di cumulo e i limiti di reddito, se previsti. Minore invalido civile Il bambino riconosciuto invalido civile ha diritto a percepire, in via alternativa, l’indennità di accompagnamento o l’indennità di frequenza. 1. Indennità di accompagnamento: Viene concessa al minore che si trovi nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, necessiti di assistenza continua Viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 512,34 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito (personale del minore) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ incompatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato 2. Indennità di frequenza viene concessa al minore che presenti delle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età E’ subordinata alla frequenza continuativa o periodica presso centri diurni, centri ambulatoriali o scuole di ogni ordine e grado (compreso l’asilo nido) e viene corrisposta per tutta la durata della frequenza (va presentata idonea documentazione che lo attesti) E’ pari ad € 279,47 (anno 2016) E’ subordinata al limite di reddito (personale del minore) pari ad € 4.800,38 (anno 2016) E’ incompatibile con l’indennità di accompagnamento E’ incompatibile con l’indennità di comunicazione Minore cieco civile Al minore riconosciuto cieco civile possono essere erogate l’indennità di accompagnamento per ciechi assoluti, l’indennità speciale per ciechi parziali, la pensione per ciechi parziali. 1. Indennità di accompagnamento per ciechi assoluti Viene concessa al minore cieco assoluto Viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 899,38 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito (personale del minore) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile e cumulabile con l’indennità di accompagnamento concessa agli invalidi civili (solo in caso di pluriminorazione, ovvero solo se la patologia per cui viene riconosciuto il diritto ad indennità di accompagnamento è diversa da quella che ha provocato la cecità). 2. Indennità speciale per ciechi parziali Viene concessa al minore cieco parziale Viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 206,59 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito (personale del minore) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile e cumulabile con la pensione per ciechi parziali E’ compatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato 3. Pensione per ciechi parziali Viene concessa al minore cieco parziale Viene corrisposta per 13 mensilità E’ pari ad € 279,47 (anno 2016) E’ subordinata al limite di reddito (personale del minore) pari ad € 16.532,10 (anno 2016) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile e cumulabile con l’indennità speciale per ciechi parziali E’ compatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato Minore sordo civile Al bambino sordo civile può essere riconosciuta l’indennità di comunicazione. 1. indennità di comunicazione viene concessa al minore sordo, ovvero con sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva (ovvero fino ai 12 anni) che abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 254,39 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito del minore E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato. E’ compatibile e cumulabile con l’indennità di accompagnamento per l’invalidità civile o la cecità (nel caso, quindi, di soggetti pluriminorati) Riferimenti normativi: L. 18/1980 – L. 508/1988 – L. 289/1990 – L. 66/1962 – L. 33/1980